Divampante fulgore

 


Altro giro altra lettura.

Affermai tempo fa che l'estate per me significa la pausa, la gratificazione della lettura, il sapore del tempo dilatato, il benessere ritrovato (https://airenepiace.blogspot.com/2023/02/ode-al-libro.html). Non ho ancora assaporato l'ebrezza ristoratrice del riposo sul litorale ma mi sto concedo la gioia della lettura inaugurando il mese di luglio con Fahrenheit 451 di Ray Bradbury.

Il protagonista, Guy Montag, fa il pompiere in un mondo in cui gli incendi, anziché essere spenti, vengono appiccati. Armati di lunghi lanciafiamme, i militi irrompono nelle case dei sovversivi che conservano i libri, e li bruciano: così vuole la legge. L'incontro con Clarisse McClellan, ribelle ragazza che osa intrattenersi con bizzarre conversazioni, stravolgerà completamente la vita di Montag.

Si tratta di un libro che narra di libri, un metaromanzo che attraverso una narrazione distopica e fantascientifica indugia sul valore della lettura, volano di conoscenza e promotrice di apertura mentale. Scritto nel 1953, esso risulta essere una serrata critica verso una società annichilita dal bisogno della felicità intesa come spensieratezza, assenza di pensiero. Un bisogno di "Università della strada" ante litteram, di elenchi snocciolati senza connessione logica che tanto riempiono l'eloquio e tanto rintronano (e appagano) teste non pensanti.

Scrive Neil Gaiman nell'introduzione: "Le idee, e in modo particolare le idee scritte, hanno un potere speciale. Sono il modo con cui trasmettiamo i pensieri da una generazione all'altra. Se perdiamo i racconti a cui ci siamo affidati, perdiamo la storia condivisa, che è gran parte di quello che ci rende umani. Calandoci nella mente di altre persone, la narrativa ci offre empatia: vediamo le cose con gli occhi di altri perché la narrativa è una bugia che parla di cose vere, ora come allora."

Vado ora oltre e aggiungo una retorica e provocatoria domanda: tutti i libri hanno pari dignità? Va bene tutto purché si legga? In una società in cui, secondo l'ISTAT, circa il 40% della popolazione non ha letto nemmeno un libro nel corso dell'ultimo anno e -secondo INVALSI- il 49% degli studenti non comprende ciò che legge (!!!), sarei portata a rispondere affermativamente con slancio. Ma l'istinto non mi è sempre amico e ad una più profonda riflessione la mia risposta cambia radicalmente tenore ed è un fermo NO. NON VA BENE TUTTO. 

L'editoria ufficiale è un campo minato, è vero, ma ormai tutti scrivono tutto, tanti cercano di dare voce a se stessi, all'autocompiacimento attraverso l'autopubblicazione. Ego titillati da fiumi di parole, gente a cui piace ascoltarsi, a cui piace leggersi. Dal delirante Generale che ci insegna la vita discriminando sulla base di inesistenti e pericolose teorie normalizzanti, alla presuntuosa dattilografa che desidera la ribalta e che cerca la svolta. E cosa lasciano al lettore? Una storiella mal scritta, se va bene, o una violenta disamina delirante, quando va male. No, per favore, non si può scrivere tutto, così come non si può dire tutto. 

Allora come si fa ad arginare questa deriva? Sarebbe bello riuscire a creare una consapevole comunità di lettori condividendo le buone letture, apprezzando il bello stilo ed esercitando una critica consapevole...magari facendo un passo indietro rispetto al diffuso bisogno di apparire on stage.

Prima di lasciare una citazione illuminata di Bradbury, anticipo la mia prossima condivisione: Lessico famigliare di Natalia Ginzburg. Un altro capolavoro, un'altra ottima ed edificante lettura.

“I buoni scrittori toccano spesso la vita. I mediocri la sfiorano con una mano fuggevole. I cattivi scrittori la sforzano e l'abbandonano.”


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